Il Basso Medioevo e gli Statuti


Al concetto di alto medioevo si contrappone quello speculare di basso medioevo. La linea di demarcazione tra i due periodi è molto evanescente. Su questo tema esiste una profonda diatriba tra gli studiosi. Generalmente, però, si suole indicare come spartiacque l'anno 1000. A sostenere tale scelta è la prodigiosa ripresa demografica che si è registrò in gran parte d'Europa e che diede uno slancio decisivo all'economia dell'intero continente più avanti con la cosiddetta rinascita del XII, la quale originò il vero e proprio boom del medioevo. Questa felice dinamica portò a maturazione numerose innovazioni (agricole, finanziarie, scientifiche, ecc.), creò o riportò alla luce rotte commerciali terrestri e marittime, portò alla costruzione di nuovi e piccoli insediamenti che diventarono col tempo vere e proprie città (esaltando la spaccatura città/campagna). Insomma si andò diffondendo in tutta Europa una nuova mentalità, propensa alla creazione ed alla conoscenza: il formicaio si stava risvegliando!

Il frenetico ravvivamento dal lungo inverno portò con sè una 'invenzione' tipicamente medievale: i comuni, ma prima ancora la formazione o riabilitazione di antichi borghi. Il comune rappresenta la più eminente creazione politica del periodo. Capire la storia d'Italia significa anche comprendere la storia dei comuni, concepiti quali evoluzione dal feudo, ed a loro volta genitori dei futuri stati nazionali. Possiamo definire i comuni come entità politiche costituite attorno ad un governo cittadino formato da associazioni di cittadini liberi, con garanzie di rinnovabilità e temporaneità del potere 'esecutivo'. Nei primi tempi il comune era composto da membri di potenti famiglie, e solo più tardi potranno accedervi anche i rappresentanti delle potenti corporazioni (altra 'invenzione' medievale). La forza negoziale nei confronti di imperatori, Papi e signori feudali variava da comune a comune (ragion per cui è impossibile tracciare un quadro complessivamente valido per ogni realtà comunale), in gran parte in funzione della loro capacità di autodeterminarsi da autorità superiori; e per autodeterminazione si intende la capacità di rendersi autonomi politicamente ed amministrativamente, fissando ad esempio dazi doganali, amministrando la giustizia, imponendo tasse, ecc. Certi comuni ebbero apposita autorizzazione dall'imperatore, altri fecero di testa loro. Altri ancora furono dapprima governati da funzionari della sede arcivescovile, grazie al consenso imperiale. Ricordiamo le date di nascita di alcuni comuni italiani: Brescia 1038, Trieste 1060, Pisa 1081, Parma 1092, Milano 1097, Bologna 1123.

L'organo ' esecutivo' era nelle mani del console, il quale veniva eletto dalla città e controllato dalla stessa tramite l'organo dell'arengo (assemblea dei cittadini) che si riuniva, a seconda dei casi, in piazza o in una chiesa. L'incarico veniva affidato al console per un periodo non superiore all'anno onde evitare spiacevoli 'incrostazioni' sullo scranno del potere. Console che col tempo verrà sostituito dal podestà, figura di rilievo simile al console, se non per il fatto che questo è chiamato da fuori città con lo scopo precipuo di essere un governante super partes, non incline cioè a favorire nessuna famiglia potente.

Ebbene, il contesto in cui andiamo ora a collocare le vicende sammarinesi del periodo 1000-1500 sono proprio impregnate da questi elementi; vicende che come accennato prima sono del tutto dissimili da quelle di altri comuni: dal singolare ed unico percorso politico battuto dai cittadini del comune del Monte Titano nascerà quello che sarà poi l'odierno stato indipendente che tutti conosciamo. Per meglio comprendere la storia alto medievale del Titano è proficuo porre a mente il fatto che San Marino non si costituisce quale comune autonomo in virtù di un atto scritto e formale ben definito; quanto piuttosto, con le parole di Gino Zani, "...ebbe origine dalla autoproclamazione di indipendenza di un piccolo e povero popolo che volle e seppe mantenersi esente da ogni forma di servitù. [...] Anche in ciò la Repubblica ha una propria originalità, perchè si proclamò indipendente senza investitura."

Nel periodo sotto esame si osserva come il territorio sammarinese non si sia ampliato certo in modo omogeneo e programmatico. I sammarinesi hanno spesso fatto buon uso di doti diplomatiche per accaparrarsi in modo pacifico, territori che oggi sono circoscritti entro i confini della Repubblica. Nel 1100, infatti, il comune di San Marino acquistò dai conti di Montefeltro per 300 ducati d'oro il castello di Pennarossa con la sua giurisdizione. Fu la volta, nel 1170, di metà del castello di Casole e Fiorentino per mezzo di un contratto di enfiteusi concesso dal monastero di San Gregorio in Conca.

Nel 1125 il Papa Onorio II con una bolla conferma a Pietro, Vescovo di Montefeltro, la proprietà della plebem S. Marini cum castello et pertinentibus suis omnibus. I vescovi feretrani erano in questo modo non solo i rappresentanti del Papa in queste terre ma anche i Signori, in senso temporale, con giurisdizione sul castello e dunque sulla popolazione laica. In poche parole San Marino dipendeva dal Montefeltro.

Il territorio di San Marino non sembra più destare interessi di cronaca fino a quando nel mese di dicembre 1243 un certo Guittone di Cerreto, dichiara di rinunciare alla riscossione dei pagamenti dei pedaggi da lui imposti a chi si recava per fiere o mercati in San Marino, in contropartita di una somma di 15 libbre ravennate, concedendo in questo modo la piena facoltà di riscossione al Vescovo di Montefeltro Ugolino ed ai due consoli, Filippo da Sterpeto e Oddone Scarito (i primi due 'capitani reggenti' che la storia ricordi). Il significato del documento è forte: San Marino, costituita sotto forma di comune retta da due consoli, era pur sempre governata dal Vescovo di Montefeltro, il quale possedeva una dimora sul Titano. Ma questo è anche il primo testo che documenti la costituzione di un comune a San Marino! Gino Zani chiama felicemente San Marino un comune teocratico, per distinguerlo dal successivo comune laico. Egli aggiunge inoltre che "Quale meraviglia adunque se i Sammarinesi nel periodo di transizione si valessero della autorità del Vescovo ed in particolare di Ugolino per acquistare quella piena libertà che era loro suprema aspirazione, libertà insidiata dai feudatari confinanti che vantavano, o avevano, diritti sul loro territorio?".

Dieci anni dopo, nel 1253, fu acquisita l'altra metà del castello di Casole ed altri 18 fondi da Taddeo, conte di Montefeltro, per volere di Odone Scarito, allora non più console ma sindaco, per la somma di 400 libbre ravennate ed anconetane. Alcuni fondi, quali ad esempio Teglio, Misano e Polano, erano ubicati oltre il torrente di San Marino, attuale confine della Repubblica. Di nuovo con le parole di Gino Zani : "Tanto questo contratto quanto quello precedentemente citato dimostrano il lento lavorio fatto dai Sammarinesi nel secolo XIII per liberarsi dalle pretese feudali che i padroni esterni vantavano sul loro territorio. Ma per le necessità dei tempi dovevano anche tollerare un padrone interno, cioè il Vescovo feretrano...".

La fine del secolo XIII, contraddistinto dal rinvigorire del controllo del proprio territorio da parte della curia papale, è segnata da un volontario allentamento dei legami tra comune di San Marino e vescovi di Montefeltro, ad opera del primo. La comunità sammarinese era decisa nell'intraprendere l'inizio di una nuova gestione, improntata su una realtà decisamente più autonoma e laica. La possibilità di implementare tale politica trovò un'ottima scusa nell'aggancio politico del comune sammarinese alle tesi ghibelline (favorevoli all'imperatore) nell'anno 1275, ovviamente in totale contrasto con quelle guelfe (favorevoli al Papa). Il partito ghibellino era capeggiato dai duchi di Urbino, ed in particolare da Guido da Montefeltro, coi quali il comune di San Marino strinse un patto di alleanza dal 1275 al 1295.

Il segno di rivolta al Vescovo di Montefeltro divenne palese nel 1294, quando quest'ultimo impose al comune di San Marino una tassa proporzionale mirata a raccogliere fondi per pagare il suo stipendio. I sammarinesi si rifiutarono categoricamente di sottomettersi a tale volontà. Fu perciò mandata la questione davanti ai giudici di Rimini, i quali udite le due posizioni e presa conoscenza delle documentazioni rispettive dichiararono la pretesa del Vescovo ingiustificata. Nel 1296 un caso simile si ripropose. Anche questo fatto si risolse per il meglio: sulla base di testimonianze degli abitanti i quali giuravano che per antica ed approvata consuetudine essi non erano obbligati a pagare tributi e sulla deposizione di Pagano, prete e rettore della chiesa di San Giovanni sotto le Penne, che dichiarava avere visto e letto un documento secondo il quale Felicissima aveva concesso a Marino il Titano, l'abate Ranieri, rappresentante del Papa dichiarò la non sussistenza dell'imposta.

Deposizione del prete Pagano sull'antica libertà di San Marino, Archivio di Stato

Al seguito di lotte tra guelfi e ghibellini, si concluse nel 1300 (pace di Santigne) una pace siglata da un documento, col Vescovo Uberto, favorevole ai ghibellini, ma che venne ben presto rotta. Nelle clausole che interessano il territorio comunale sammarinese, emerge chiaramente come il Vescovo esegua un passo avanti nel rinunciare a determinati suoi diritti sul comune. Ad esempio egli rinuncia a tutte le liti mosse contro il Titano, modera le sue richieste in fatto di imposte, ed altre ancora.

É del 1320 la richiesta, accolta, di annessione al comune di San Marino del castello di Busignano. La volontà di ripararsi sotto le democratiche, per l'epoca, leggi del Titano, piuttosto che sottostare alle antiche e dure regole del feudalesimo, incitarono i castellani di Busignano a fare richiesta in tal senso a San Marino, promettendo nel contempo sottomissione e una collaborazione totale. Come detto la proposta fu accolta. Altra riprova della bontà delle istituzioni politiche della Repubblica.

La pace di Santigne durò per poco tempo; i sammarinesi volevano disfarsi una volta per tutte di quella spada di Damocle che era la diocesi di Montefeltro. Le truppe di San Marino oltrepassarono infatti i loro limiti territoriali varcando il torrente di San Marino ed occuparono Monte Maggio, il castello di Tausano e Monte Fotogno oltre il fiume Mazzocco, espandendo i loro domini su un'area complessiva di circa 50kmq. I sammarinesi vinsero nuovamente la guerra contro i vescovi e conclusero la pace del 16 settembre 1320 con il Vescovo Benvenuto. Il trattato di pace prevedeva la restituzione ai vescovi nonchè ai loro successori di ogni diritto sui beni della diocesi in San Marino, il rispetto ed ossequio da parte dei sammarinesi verso i rappresentanti della Chiesa, il godimento dei beni e diritti dei castelli conquistati, ed il pagamento a favore del Vescovo di una quota risarcimento danni. Fatto stà che i vincoli con il potere spirituale si andavano via via affievolendo.

Dopo la pace del 1320 segui un altro scontro tra guelfi e ghibellini nel Montefeltro e nelle Marche, sfociato nel singolare caso della concessione di vendita di San Marino ai Malatesta di Rimini, del 1321, autorizzata da parte di Papa Giovanni XXII. Ecco come andarono le cose. L'alleanza di San Marino con i duchi ghibellini di Urbino aveva efficacemente contrastato l'asse vescovi montefeltrini/Malatesta guelfi di Rimini. I duchi di Urbino avevano altresì 'occupato' San Marino impedendo in questo modo ai vescovi di godere dei diritti sanciti nella pace del 1320. Il Vescovo Benvenuto decise di disbrigare la faccenda concedendo il territorio ai Malatesta in compenso di altri. Il permesso fu concesso dal Papa, ma la vendita non fu mai effettuata. Anzi da quell'anno in poi cominciarono le vere disgrazie dei vescovi che culminarono nel 1338 con la cacciata del Vescovo Benvenuto da San Leo per mano di Nicolò da Montefeltro. L'ironia della sorte volle che si rifugiò proprio a San Marino!

Dal 1320 al 1375 i limiti territoriali non furono modificati, fino a quando non venne acquistato nel 1375 il castello di Pietracuta ed annessi possedimenti da Cecco Donato di Bertinoro per 35 ducati d'oro.

La storia prosegue il suo corso incontrando nel 1354 il Cardinale Egidio Albornoz, il quale promosse un'azione di 'riconquista' dei territori della Chiesa, mirata a diminuire il potere di certi signorotti che li consideravano, per mera consuetudine, proprietà privata. Buona sorte riservò tale visita ai duchi di Montefeltro, che rispettando la venuta del Cardinale, ottennero la custodia delle terre della Chiesa, ad eccezione di San Marino, che doveva servire da base operativa al Cardinale contro i Malatesta, che si erano duramente opposti a tale assestamento dello Stato papale. Afferma, di conseguenza, il Pochettino: "Ma l'interruzione fatta dall'Albornoz nella custodia di San Marino da parte dei Montefeltro fu benefica; poichè da troppi anni durava per quelli la consuetudine di avere la custodia di quella terra, e per quanto sulle prime potessero velare, sotto apparenze di amichevoli rapporti e di disinteressata protezione, la cosa, non sarebbe andato molto che avrebbero imposta anche a San Marino la loro esplicita signoria".

Nel frattempo, caduti in disgrazia i Montefeltro, tornano alla ribalta, per l'ultima volta, i vescovi feretrani. Nel 1368, partito l'Albornoz, il Vescovo feretrano Peruzzi tentò di riconquistare gli antichi diritti vantati su San Marino. Fu portata davanti al Rettore di Romagna e Podestà di Cesena la questione. Anche stavolta non si diede ragione al Vescovo, basando la decisione sulla constatazione di antiche consuetudini e cessioni territoriali nonchè per prescrizione dei secolari diritti sulla proprietà, che aiutavano indubbiamente a sostenere la causa sammarinese.

Nel 1375, infine, il Vescovo Peruzzi, non contento della decisione tentò la sorte. Di comune accordo con il Podestà di Montefeltro, corruppe e convinse un sammarinese, Giacomo Pelizzari, ad organizzare un gruppo di seguaci incaricati di consegnare la città in mani nemiche. La cospirazione fu scoperta e Pelizzari mandato alla forca.

Risale al 1389 un atto di concessione territoriale di Papa Bonifacio IX concedente ai Signori di Montefeltro le terre conquistate dai sammarinesi nel 1320. In che modo si sia arrivati a tale donazione non è noto. In quegli anni la superficie complessiva del comune si ridusse dai precedenti 50kmq, a circa 32kmq.

Trascorsi i primi decenni del secolo XV in relativa serenità, alla fine del terzo decennio del secolo, tramontata la potenza dei vescovi feretrani, il nuovo asse di forza si stabilì lungo la direttrice Rimini (Malatesta) Urbino (Montefeltro). Per antica tradizione i sammarinesi non rinunciarono a dare il loro appoggio a quest'ultimi. Toccava di nuovo riprendere le armi assieme ai duchi d'Urbino per difendere l'Antica Libertas dalle grinfie dei Malatesta. Le tre guerre durarono 23 lunghi ed estenuanti anni, interrotti da sporadiche tregue. La prima ebbe inizio nel 1440 ed oppose Sigismondo Pandolfo Malatesta a Guido Antonio da Montefeltro. Si concluse nel mese di novembre del 1442 senza vedere emergere la figura di un vincitore e senza aumenti territoriali per San Marino.

Nella seconda guerra del 1458 ai sammarinesi ed ai Montefeltro, si alleò Alfonso d'Aragona, re di Napoli, derubato di una grossa somma di denaro da parte del Malatesta. Questa volta il contrasto si risolse in netto favore dei sammarinesi, che riuscirono ad invadere con gli alleati la totalità del territorio nemico, eccezione fatta per l'inespugnabile Rimini. Il Malatesta salvò in qualche modo la faccia, chiedendo la mediazione di Papa Pio II. Il Signore di Rimini fu costretto a risarcire la somma al re di Napoli e concedere ai sammarinesi il solo castello di Fiorentino ed un risarcimento danni (che mai i sammarinesi incassarono!). Castello di Fiorentino che venne distrutto, nel 1479, dai sammarinesi per paura che potesse giovare al Malatesta qualora avesse riconquistato tale zona.

L'ultima guerra risale al 1460-1463. In questo conflitto il Malatesta combattè non solo contro i 'soliti' Montefeltro e sammarinesi, ma anche contro Papa Pio II, col quale i rapporti erano notevolmente deteriorati dal 1548. Il destino del Malatesta era già segnato. Sicuri della vittoria, i sammarinesi vollero in un momento anteriore alla resa dei riminesi assicurarsi la disponibilità del Papa a concedere loro terre. Cosa che fu fatta il 30 dicembre 1460 con un breve (è un documento meno pomposo della ufficialissima bolla papale) nel quale il Papa riconobbe il diritto di concessione in feudo dei territori conquistati dai sammarinesi al Malatesta. Successivamente il 21 settembre 1462 a Fossombrone il Papa riconobbe non più la concessione in feudo, bensì in dominio dei castelli di Montegiardino e annessi terreni, la corte di Fiorentino, il castello di Serravalle e le rispettive giurisdizioni. Fu inoltre concesso a San Marino una striscia di terra nelle vicinanze di Verucchio che dava accesso al fiume Marecchia, permettendo l'accesso diretto al mare. Ne seguì per più di cent'anni un'accesa mischia tra i due comuni che si risolse con la finale acquisizione di detti territori da parte di Verucchio.

Federico II da Urbino, Piero della Francesca, Galleria degli Uffizi - Firenze
Conclusasi vittoriosamente la guerra contro i Malatesta, Papa Pio II mantenne la promessa del trattato di Fossombrone ed emanò la bolla del 27 giugno 1463 nel quale vennero ufficialmente riconosciuti la proprietà delle terre stabilite. A testimonianza del notevole impegno della piccola Repubblica nel conflitto, il Papa decise spontaneamente di aggiungere, oltre a quanto stabilito nel trattato del 1462, il castello di Faetano con annessa giurisdizione. Il gesto del Papa rappresenta una delle più eloquenti testimonianze della effettiva indipendenza di San Marino, ed in un certo qual modo, in quel preciso momento il piccolo stato si libera concretamente del dominio della Chiesa, iniziato già dai tempi del Placito Feretrano. Un lungo percorso alla ricerca della propria indipendenza si stava concludendo. Dal 1463 ad oggi, infatti, il territorio di San Marino non ha subito modifiche (anche se ha rischiato di ampliare il suo territorio in epoca Napoleonica); un primato sicuramente esemplare.

GLI STATUTI

Lo statuto è l'atto formale e solenne nel quale vengono racchiusi i principi organizzativi ed istituzionali che regolano la vita politica e giuridica del comune. Sono pertanto indizio di una forma di indipendenza politica. Rappresentano inoltre una tangibile testimonianza dell'evoluzione delle istituzioni di una città.

La notevole crescita economica e demografica dell'inizio del XI secolo, crea i primi problemi alla società feudale. Nasceva cioè l'esigenza di creare una nuova struttura sociale in grado di offrire migliori condizioni di vita e di libertà oltre a favorire nel miglior modo possibile lo sviluppo delle diverse attività economiche. Tramontata la paura delle invasioni barbariche si diffondono lentamente le prime città, con la conseguente necessità di organizzarle. La nascita dei comuni italiani (istituzione che rappresenta l'evoluzione rispetto alla precedente autorità dei vescovi-conti) risale alla metà-fine del XI secolo, in modo sostanzialmente parallelo alla rinascita dell'economia. Fu soltanto con la Pace di Costanza del 1183 tra l'imperatore tedesco ed i comuni lombardi che fu liberamente concesso ai comuni di emanare proprie autonome leggi.

La particolare ubicazione di San Marino ha fatto in modo che il comune si costituisse posteriormente ad altri del centro-nord Italia. Il pressante dominio dei vescovi feretrani ha sempre arginato il manifesto desiderio (ne sono testimonianze il Placito Feretrano, il giudizio del 1294 e 1296, l'alleanza con i ghibellini, la Bolla del 1463) degli abitanti del Titano di costituire una entità autosufficiente.


Vediamo di ripercorrere brevemente le linee di sviluppo politico della piccola Repubblica:

1243.
Per la prima volta si sa dell'esistenza di consoli a San Marino. Questi sono Filippo da Sterpeto e Oddone Scarito.
1253
Da un rogito del 5 aprile si deduce l'esistenza di statuti già da qualche tempo. Inoltre documenti del 1254 e 1278, confermano già l'esistenza di statuti, che peraltro sono andati persi.
1295
Il più antico statuto conservato nell'archivio di Stato. La sua composizione è stimata tra il 1295 e il 1302, ed è incompleto. É composto da due parti: nella prima si trovano norme sull'elezione dei Capitani (abolizione del temine 'console'; si chiamava Capitano quello del ceto primario e Difensore quello del ceto campagnolo), il loro giuramento, le pene previste per vari atti illeciti, direttive per le guardie, ecc. La seconda parte reca aggiunte dal 1320 al 1342 concernenti ad esempio la manutenzione delle vie pubbliche, e regole da tenere a mente sul tema dei confini con Rimini, ecc.
1317
Secondo statuto; anche questo è incompleto. Il contenuto è molto vario: delitti e relative sanzioni, sicurezza ed ordine pubblico, norme d'igiene pubblica, divieto del gioco d'azzardo, ecc. Prima denominazione accertabile del termine Capitani o Rettore per entrambi i supremi magistrati.
1352-1353
Terzo statuto, organizzato in modo coerente e sistematico, a differenza dei primi due. É composto di tre libri ognuno dei quali tratta materia ben distinta dalle altre. Nel primi si dettano norme sull'ordinamento politico ed amministrativo. Nel secondo norme di diritto privato. Nel terzo norme di diritto penale.
Statuto del 1352-1353, Archivio di Stato
1356-1488
Seguono riforme degli statuti del 1352-1353.
1491
Quarto statuto. É formato da 6 libri. Nei primi cinque vengono trattati gli argomenti suddetti, mentre il sesto instaura l'istituzione della Magistratura d'Appello, in grado di ricorrere contro i giudizi dei Capitani Reggenti (erano magistrati penali e civili).
1499-1544
Riforme varie del quarto statuto.
Metà 1500-1595
Quinto statuto. Ripresa dei precedenti con relative modifiche appropriate a nuove esigenze.
Metà 1500
Sesto statuto. Comprende decreti emanati dal Consiglio e suddivisi in cinque fascicoli (dalla A alla E) e riordinati alla fine del secolo.
1600
Settimo ed ultimo statuto. É composto da 6 libri: i primi 5 sono una riedizione di quelli del 1491 ed il sesto una copia di quello del 1505, con aggiunte di quello del 1572.

L'Alto Medioevo Dal 1500 all'avvento napoleonico


testo e cartine Riccardo Bombardini
impag. Robert Gasperoni
fotografie cortesia della AIEP Editore.