Dal 1500 all' Avvento di Napoleone


Il 27 giugno 1463 rappresenta per la Repubblica di San Marino una data storica. È da ben 533 anni che il suo territorio non subisce più modifica alcuna! Non per questo, dopo l'importante riconoscimento papale, cadde nell'oblio: fu per l'appunto meta ambita di signori e signorotti in cerca di nuove conquiste. Vediamo quali furono.

Il 1503 segna il tentativo di conquista di San Marino ad opera di Cesare Borgia (1475-1507), detto anche il Valentino, nome che gli deriva dalla concessione della contea del Valentinois, donatagli dal re di Francia. Costui era il Signore della Romagna e figlio di Rodrigo Borgia, che diventerà poi Papa Alessandro VI. Dal 1499 incominciò ad assoggettare i piccoli signori di Romagna; si ricordano le conquiste di Imola e Forlì (1499), Faenza (1501). Proseguì dunque giù per la Toscana, conquistando Piombino e l'isola d'Elba; poi fu la volta di Urbino, e dell'Umbria. Il suo stato di grazie ebbe fine nel 1503, anno della morte di suo padre, Papa Alessandro VI che gli concesse non pochi privilegi. Proprio in quell'anno il Valentino sferrò il suo attacco contro San Marino occupandola per 6 mesi e trasferendo la capitale a Serravalle.

La successiva intrusione del territorio della Repubblica fu capeggiata nel 1543, da Fabiano da Monte S. Savino (nipote del futuro Papa Giulio III) il quale organizzò la spedizione in due reparti. Il primo, quello da lui comandato, si avviò da Rimini con cinquecento soldati e cavalieri mentre il secondo gruppo condotto da Galeazzo Medaschi e Camillo Pazzarelli, riminesi, prese la via di Santarcangelo. La spedizione fallì per il mancato ricongiungimento del secondo gruppo al primo sul confine per causa di una fitta nebbia che fece perdere la strada agli invasori.

Nel 1549 il signore di Verucchio, Leonardo Pio da Carpi, decise di imitare i suoi due predecessori. Il tentativo, anche questa volta, ebbe infelice sorte. Fu subito intercettato e sconfitto grazie all'appoggio di antichi amici della Repubblica, e nella fattispecie da Guidobaldo, duca di Urbino. Onde evitare altre spiacevoli 'sorprese' San Marino stipulò il 20 maggio 1549 a Pesaro, con Guidobaldo un accordo di difesa dei beni e persone del suo territorio. Una nuova prova del particolare rapporto di fiducia intercorrente tra la Repubblica ed il Ducato.

Il principio del XVII secolo segnò un capitolo importante della storia di San Marino. Apparve chiaro il destino del Ducato d'Urbino: la sua prossima destinazione allo Stato della Chiesa. Si scombinò in questo modo l'intricata rete di legami politici che nei secoli precedenti garantirono a San Marino assistenza e protezione. Sicuramente non era cosa di poco conto per il piccolo Stato. Occorreva dunque ripensare l'intero schema delle alleanze. Cosa che San Marino fece nel 1603 stipulando dei patti con Papa Clemente VIII. L'estinzione della famiglia Della Rovere (anticamente i Montefeltro) nel 1631, con la morte di Francesco Maria, decretò di fatto la devoluzione del Ducato alla Santa Sede, già dal 1625 sotto la tutela di un governatorato ecclesiastico. Con la convenzione del 1627 si stabiliva la protezione di San Marino, e nel 1628 Papa Urbano VIII confermò i patti del 1603. Protezione che era teoricamente una man messa su San Marino, ma che in pratica non fu mai concretizzata. É però importante notare come San Marino ben riuscì a gestire la delicata transizione in tema di rapporti con il mondo esterno, riuscendo a mantenere la propria autonomia, specialmente se ricordiamo le tormentate, per non dire conflittuali, passate relazioni con la Chiesa.

Di pari passo con la svolta di politica estera, si inserisce l'insabbiamento delle istituzioni. Assistiamo all'instaurazione di una oligarchia, un governo di pochi, principio che contrasta sicuramente con i dettami di democraticità sempre portati ad esempio dalla Repubblica. In parte responsabile di quest'orientamento sono gli statuti del 1600 che polarizzano, gli interessi vitali, intorno ad una ristretta cerchia di persone, individuabili nel ceto nobile del paese. In merito al fenomeno, Giordano Bruno Reffi scrive, in 'Il diritto fra anacronismi, contrordini, illusioni', che questo "è il tempo delle signorie, del costituirsi degli stati nazionali, delle spinte espansionistiche come effetto conseguente all'affermazione dell'assolutismo, nella pratica e nella dottrina, come potere assoluto o sovranità dello Stato e quindi del monarca. L'Italia è stata oggetto di ripetute invasioni straniere e quindi del mutamento incessante geografico-politico, cambiano i costumi, regna l'instabilità politica al cui coinvolgimento San Marino non riuscirà più a sottrarsi poichè non è più possibile rendere inosservata la sua presenza storica: sono queste le condizioni che, di certo, non favoriscono un graduale processo di cultura e che, invece, inducono ad un maggior rigore disciplinare ed alla restrizione della sfera relazionale fra lo stato e i cittadini e di maggior sospetto o resistenza verso l'esterno.". L'eloquente descrizione del quadro generale politico parla da sè. San Marino si adagia su se stessa, assistendo apaticamente al crollo dell'amministrazione della giustizia, disinteressandosi della qualità dell'istruzione (tant'è vero che nel 1691 un sacerdote, Ascanio Belluzzi, si impegnò mezzi propri a creare un collegio), offrendo il diritto d'asilo anche a gente poco raccomandabile. Sicuramente l'apice della decadenza politica è raggiunta quando all'Arengo, lo storico consiglio delle famiglie, si sostituisce il Consiglio Grande e Generale. Negli statuti del 1600 si legge "É dunque l' Arringo la congregazione di tutto il popolo della terra di San Marino e della sua Curia cioè di una persona per casa...Nel quale così congregato ed aunato...perchè cresciuto il nostro popolo, le convocazioni a poco a poco in ogni singola casa li resero difficili, a togliere tutte le difficoltà nonchè i tumulti e le inevitabili e dannose contese che in tanta moltitudine di persone continuamente nascevano [...]l'universa e suprema potestà ed imperio dallo stesso Arringo si trasferì nel Consiglio Grande e Generale detto dei sessanta." Si stava di fatto insediando una nuova forma di governo che, tramite accorti giochi di cooptazione interna, avrebbe col passare degli anni, concentrato il potere nelle mani dei patrizi (risale al 1646 la prima menzione, negli atti del Consiglio, del termine 'nobiltà sammarinese'). Del resto, quello dell'assolutismo, era una pratica che andava 'di moda' in quel periodo, e in special modo in Francia, sotto l'influenza del Cardinale Richelieu, raggiungendo l'apice con il re sole Luigi XIV, che regnò dal 1661 al 1715.

Il Cardinale Alberoni
Il Settecento, oltre a vedere rinforzarsi l'oligarchia, sarà testimone di una recrudescenza di tentativi di destabilizzazione dell'autonomia della piccola Repubblica. Il caso più eclatante è rappresentata dalla vicenda del cardinale Alberoni, nel 1739. Il protagonista del contrasto in questione è di nuovo l'autorità religiosa, segno della tranquilla in superficie, ma travagliata in profondità, tensione tra stato laico ed ecclesiastico. Il conflitto inizia il 17 ottobre 1739, data in cui il cardinale Giulio Alberoni, Legato di Romagna, accompagnato da un paio di uomini, decide di penetrare nel territorio sammarinese movendo come scusa la ricerca di due fuorilegge, Marino Belzoppi e Pietro Lolli. I due si erano infatti proposti di spodestare il regime oligarchico. Entrato in Repubblica da Serravalle si diresse poi, travestito da prete, verso San Marino città, dove prese possesso del palazzo Valloni. Al seguito del Cardinale, arrivarono, da Ravenna, a poche ore di distanza, 47 agenti accompagnati dal loro capo. Ma non finì qui: l'entrata di truppe si proseguì il giorno dopo con l'arrivo di 500 soldati. Il sistema offensivo del Cardinale entrò in funzione senza intralci. Il cardinale portò variazioni alle norme di San Marino, introducendo un Gonfaloniere e due Conservatori al posto dei due Capitani Reggenti, ed obbligando i notabili a prestargli giuramento. Seguirono a tali pretese ovvi atti di ribellione della popolazione, a cui il Cardinale rispose con pesanti rappresaglie. La protesta si inasprì quando i rappresentanti di tutti castelli, ad eccezione di Faetano, Serravalle e Montegiardino si rifiutarono di effettuare il previsto giuramento fissato in data del 25 ottobre nella Pieve. Il tentativo di disubbidienza di nuovo fallì, e gli insorti furono obbligati ad arrendersi agli uomini del cardinale. Stranamente, qualche giorno dopo, il 29 esattamente, il cardinale Alberoni se ne ritornò a Ravenna, credendo di avere partita vinta.

Fu sicuramente l'occasione che i sammarinesi aspettavano: mandarono infatti un esposto a Roma per lamentare l'accaduto. Esaminata in un primo momento la situazione rapportata nella denuncia e ritenendola veritiera, venne deciso di mandare sul posto Monsignor Enrico Enriquez, governatore di Perugia, in veste di controllore. Questi confermò l'autenticità dei fatti e pertanto concesse alla Repubblica di ritrovare la propria secolare libertà. Quel giorno, il 5 febbraio 1740, viene oggi ricordato e celebrato come la festività di Sant'Agata.

É difficile credere che il cardinale Alberoni abbia avuto come solo obiettivo la conquista fine a se stessa del piccolo stato. Il progetto architettato era sicuramente intriso da variabili quali l'insoddisfazione degli abitanti nei confronti del regime oligarchico oltre che delle possibili mire espansionistiche del vicino Granducato di Toscana in Carpegna, che avrebbe ovviamente danneggiato gli interessi della Santa Sede, qualora fosse stato portato a termine il progetto di invasione.

Altro episodio di chiaro stampo intimidatorio è quello del 1786, noto come la vicenda del blocco. Di nuovo un Legato di Romagna, il cardinale Luigi Valenti-Gonzaga aveva concesso assistenza ad un commissario della Repubblica, Blasi, il quale era accusato di non avere adempiuto con serietà ai suoi impegni. La lite ebbe come punto centrale l'insistenza del cardinale nel richiedere a San Marino tale persona, la quale ovviamente non acconsentì all'intimidazione. Il culmine della questione fu raggiunto quando il difensore del Blasi definì il cardinale come 'Delegato Apostolico in Repubblica' violando palesemente i principi di sovranità di San Marino. Di fronte alla comprensibile esasperazione dei Capitani Reggenti ed alla loro opposizione, il Cardinale Gonzaga decretò un blocco di approvvigionamento dell'intero territorio che durò 4 mesi e l'accerchiamento della Repubblica da parte delle truppe pontificie. Tuttavia tutto si risolse per il meglio ed il 24 febbraio 1787 la faccenda poteva dirsi estinta.

Il XVIII secolo fu foriero, in Europa, di una grande rivoluzione intellettuale: l'illuminismo (detto anche l'età della ragione). L'illuminismo, inteso quale corrente del pensiero che privilegia la ragione, la libertà dello spirito, la libera critica e la tolleranza religiosa, rivoluzionerà il modo di pensare e di agire dell'uomo dell'epoca. Mentre in Francia l'illuminismo risplendeva, e preparava le basi per la rivoluzione francese del 1789, a San Marino il settecento portava il consolidamento al potere dell'oligarchia. La politica di chiusura al mondo, caldeggiata dalla classe dirigente per paura di una loro possibile perdita di potere, aveva sensibilmente isolato San Marino dalle novità venute d'oltralpe. Specialmente a partire dagli anni 1789-1790 in Italia si diffondeva la paura degli ideali che la rivoluzione andava veicolando. In modo particolare la libertà religiosa, uno dei cavalli di battaglia degli illuministi, infastidiva non poco la Santa Sede. Solamente del 1792 in poi tali idee cominciarono a diffondersi con qualche successo nei ceti superiori sammarinesi. Quelli rurali rimasero assolutamente ermetici alle novità, specialmente se in forte contrasto con la tradizione. San Marino, sostenuta da un'economia quasi interamente agricola, non poteva pertanto sfuggire a tale diffuso e generale risentimento. Pedippiù mancavano mezzi di diffusione del pensiero, essenziali per la diffusione delle rivoluzione intellettuali, quali ad esempio giornali, centri sociali, ecc. Ne è testimone il testo di un decreto pubblicato nel 1792 nel quale si afferma che " l'introduzione e vendita senza licenza del Governo di certi libri nuovi di stampa sospetta o alla macchia, sortite da penne infernali, sparsi per molti regni e anche nella nostra Italia, che tanto pregiudicano la nostra Santa Religione..."

Napoleone si avvicina al Titano

É in questo clima ben particolare che si inserisce l'arrivo delle truppe napoleoniche in Italia nel 1796. L'entrata del generale Napoleone Bonaparte (1769-1821) a Bologna, il 19 giugno 1796, segna in modo preoccupante e tangibile la non lontananza del fronte da San Marino. Ed è proprio la vicinanza delle truppe francesi che incita Giambattista Pozzi-Stoffi, il rappresentante di San Marino a Bologna, ad invitare il governo della Repubblica ad attivarsi per non farsi cogliere alla sprovvista dall'imminente arrivo dell'esercito d'oltralpe. L'invito fu certamente preso in alta considerazione, tant'è vero che il 23 giugno 1796 il Consiglio crea una Congregazione 'deputata per gli affari relativi ai francesi'. La congregazione, composta dai tre ceti sociali, aveva il compito di tutelare l'antica libertà e se necessario creare ad hoc una delegazione presso i capi d'armata francesi per rendere loro un semplice omaggio. Questa mossa insegna. Primo perchè è un evidente segno della preoccupazione dei dirigenti sammarinesi di fronte all'incerta natura della tempesta in arrivo; in secondo luogo è una testimonianza di un inizio di uscita dalla letargia civile in cui San Marino era caduta dal 1600. É altresì evidente l'intenzione di fare bella figura dinanzi a Napoleone quando si stabilisce che la congregazione venga composta da rappresentanti dei 3 ceti sociali: è cioè segno di democraticità, in linea con i valori rivoluzionari portati dalla rivoluzione francese. Ma tutto questo non tanto per adesione volontaria ai principi illuministi, bensì per uno spirito camaleontico di salvaguardia.

Finalmente Napoleone arrivò nelle vicinanze della Repubblica e fece inviare dal generale Alexandre Berthier, il 5 febbraio 1797, una lettera destinata ai Capitani Reggenti nella quale si richiedeva la consegna alle autorità francesi di Monsignor Feretti, vescovo di Rimini, accusato di essere istigatore di crimini contro i francesi. Sicuramente l'ultimatum imposto dal comando francese era da prendere sul serio. Ma a fare onore alla tradizione di abilità diplomatica sammarinese si presentò il Capitano Reggente Antonio Onofri. Con grandissime doti politiche e diplomatiche, risolse la questione con una lettera-risposta del 6 febbraio, guadagnandosi nel contempo la simpatia e l'appoggio di Napoleone in persona.

Antonio Onofri, P. Tonnini

Il giorno successivo alla risposta dei Capitani Reggenti, il 7 febbraio 1797, Napoleone inviò sul Titano Gasparre Monge, scienziato e commissario del governo francese per le scienze e le arti, a consegnare una lettera testimonianza di amicizia e di fraternità ai cittadini dell'Antica Repubblica. In un passo della lettera si può leggere "Vengo da parte del generale Bonaparte, a nome della Repubblica francese, a dare all'antica Repubblica di San Marino l'assicurazione della pace e di un'amicizia inviolabile. Cittadini, la costituzione politica dei popoli che vi circondano può subire dei cambiamenti. Se qualcuna delle vostre frontiere fosse contesa o anche se qualche parte degli stati vicini, non contestata, vi fosse assolutamente necessaria, sono incaricato, dal generale in capo, di pregarvi di comunicarglielo." É questa la celeberrima proposizione di Napoleone di espandere il territorio di San Marino oltre i confini già esistenti. Oltre ad essere riuscita a preservare la propria indipendenza, San Marino era potenzialmente in grado di aumentare a proprio piacimento il suo territorio. Una proposta allettante. Ma nella risposta alla lettera portata da Monge, San Marino nel ringraziare Bonaparte per le sue ammirevoli parole, rifiuta l'aumento di territorio ben "contenta della sua piccolezza non ardisce di accettare l'offerta generosa che le vien fatta, nè entrare in viste di ambizioso ingrandimento che potrebbero col tempo compromettere la sua libertà". Vedremo che questa scelta , nel 1815, salverà le sorti della Repubblica.

Napoleone manda Monge sul Titano
Il 28 febbraio 1797, Napoleone in persona scrisse un dispaccio diretto al governo sammarinese nel quale offriva trattamenti di favore: esenzione dalle imposte, stato di rispetto per i sammarinesi in qualsiasi luogo si trovassero in territorio della Repubblica Francese, consegna di mille quintali di grano e quattro cannoni da campagna in segno di alleanza. Ormai San Marino non aveva più nulla da temere dai francesi e poteva anzi vantarsi di essere stata rispettata, proprio in virtù della propria storia millenaria.

Dall'avvento di Napoleone, iniziano a prosperare le attività commerciali delle granaglie, vengono siglati trattati di amicizia e commercio con le due Repubbliche vicine: la Cisalpina (1798) e la Romana (1798). In gran parte, questa rinascita di San Marino fu pilotata da Antonio Onofri, il Capitano Reggente, al quale verrà poi attribuito, l'epiteto di 'padre della Patria'. Dopo una intensa vita nella quale traghettò con successo San Marino oltre il tempestoso 1815, anno del congresso di Vienna, e movimentò la vita interna del paese, spirò il 25 febbraio 1825.
Lettera di Napoleone, Archivio di Stato

A breve termine è possibile affermare che gli effetti tangibili delle idee portate dalla rivoluzione francese non si fecero sentire sulle istituzioni sammarinesi; anche se va ricordato, per completezza di argomentazioni, che nella seconda metà del 1797 si assiste ad un tentativo di cambiamento sociale e politico all'interno della Repubblica. In particolar modo è passata agli annali la supplica (richiesta rivolta al Consiglio da cittadini per ottenere la soluzione di qualsivoglia problema) del 3 giugno 1797 redatta da riformisti nella quale chiedevano: la pubblicazione dei conti delle amministrazioni pubbliche, la piena abolizione degli statuti, l'abolizione della nobiltà, e l'elezione dei Consiglieri mancanti per arrivare alla quota di 60. Le quattro richieste evidenziarono un progresso in termini democraticità, anche se i tempi non erano evidentemente abbastanza maturi per il loro compimento. L'iniziativa fallì ed i relativi promotori condannati a pene di prigione fino a 5 anni, poi commutate in tre anni di esilio in contropartita del giuramento di fedeltà alla Repubblica. Dopo questa vicenda la vita riprese il suo corso abituale, come se niente fosse successo.

Bisognerà aspettare la fine del XIX e l'inizio del XX secolo per apprezzare appieno l'influsso, sulla società sammarinese, delle idee rivoluzionarie del 1789.

Il Basso Medioevo e gli Statuti Il 1800 e l'epica garibaldina


testo e cartineRiccardo Bombardini
impag. Robert Gasperoni
fotografie cortesia della AIEP Editore.