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Ernesto Paleani scrittore

Amedeo Modigliani. Elvira. La modella di Modigliani

Amedeo Modigliani. Elvira. La modella di Modigliani (Attorno all'arte, 34), Cagli. ISBN 978-88-7658-245-5.

 

 

Si ringrazia la direzione della Biblioteca di archeologia e di storia dell’arte di Roma (Palazzo Venezia); Biblioteca Centrale Umanistica dell'Università degli Studi di Urbino; Biblioteca di storia dell’arte dell'Università degli Studi di Urbino; Biblioteca Pasquale Rotondi della Galleria nazionale delle Marche, Urbino; Biblioteca Federiciana, Fano; Pinacoteca civica, Fano; Biblioteca civica Gambalunga, Rimini; Ente Olivieri, Biblioteca e Musei, Pesaro; Biblioteca d’arte dei musei civici, Pesaro. Consultazione dei documenti nell'Archivio della Fondazione Modigliani.
Su specifico incarico di ricerca e di studio ho approfondito l’indagine su di un dipinto di collezione privata, inedito, al quale ho dato un nome “Jeune femme brune (Elvira)”.
L’opera è un olio realizzato su una tela su supporto di legno (cm. 70 altezza x cm. 37,5 base) eseguita nel 1918.
Prima di iniziare a descrivere, motivare e determinare la autenticità del dipinto vorrei precisare che la difficoltà è che il soggetto rappresentato è stato da anni sempre custodito in Svizzera da quando era stato acquistato a Parigi negli anni ‘60.
La mia conclusione è che l’opera è di mano di Amedeo Modigliani, per la firma posta sulla tela e dopo le analisi ed i riscontri effettuati, e può essere datata nel 1918, come in seguito vedremo attraverso i paragoni iconologici ed iconografici.
La maggior parte delle notizie, come in tutte le mie indagini, sono state rilevate nei testi a stampa consultando l’Archivio della Fondazione Modigliani, Parigi; Biblioteca di archeologia e di storia dell’arte di Roma (Palazzo Venezia); Biblioteca Centrale Umanistica dell'Università degli Studi di Urbino; Biblioteca di Storia dell’arte dell'Università degli Studi di Urbino Biblioteca Pasquale Rotondi della Galleria nazionale delle Marche, Urbino; Biblioteca Federiciana, Fano; Biblioteca civica Gambalunga, Rimini; Ente Olivieri, Biblioteca e Musei, Pesaro; Biblioteca d’arte dei musei civici, Pesaro; Biblioteca-Archivio Ernesto Paleani, Roma ed Urbino.
La difficoltà maggiore è stata quella di superare il problema che hanno avuto tutte le opere di Modigliani che sono state esposte alle mostre internazionali, dove critici e giornalisti hanno dato vita a discussioni la maggior parte delle volte “scandalistiche” per aver affrontato il tema dei falsi – come alla mostra a Genova nel 2017 - con molta leggerezza senza approfondire con diagnosi di laboratorio la loro autenticità. In un articolo di Redazione di Artslife.com del 2 maggio 2022 si legge:
“I Modigliani della mostra di Genova? Secondo i Ris sono falsi”.
Secondo le analisi dei Ris di Roma diversi pigmenti usati nei dipinti sarebbero incoerenti con i materiali utilizzati in quel periodo da Modigliani. Ormai la vicenda ha i ritmi dei thriller. E l’intervento dei carabinieri dei Ris potrebbe proiettarla, nell’immaginario, alle concitate questioni al centro dell’omonima serie televisiva. Un colpo di scena dietro l’altro: con l’arte sempre al centro dell’attenzione. Parliamo di Amedeo Modigliani, e del processo in corso a Genova per i venti dipinti attribuiti al grande artista. Sequestrati nel 2017 mentre erano esposti in una mostra a Palazzo Ducale. Truffa, falso e contraffazione di opere: queste le accuse che vedono coinvolte sei persone tra cui gli organizzatori della mostra e i proprietari delle opere. Ora a dire la sua è stato chiamato appunto il Reparto Investigazioni Scientifiche: che avrebbe depositato cartucce a favore dell’accusa.
Secondo il capitano del Ris di Roma Livia Lombardi, come riporta l’edizione genovese de “La Repubblica” , dalle analisi emergerebbero diversi indizi contrari all’autenticità di molte delle opere in questione. In molti dei 21 quadri sequestrati sarebbe stata riscontrata la presenza di bianco di titanio, pigmento mai identificato negli strati pittorici di opere certamente originali di Modì. E ci sarebbero altri “pigmenti non coerenti con il periodo storico nel quale l’opera in esame dovrebbe essere stata realizzata”, come un tipo di rosso e un tipo di blu. Sospetti alimenterebbero anche alcuni residui di carta incollata lungo i bordi di un dipinto. Per la cronaca, le difese hanno obbiettato circa la tecnica usata per analizzare i dipinti, la spettroscopia Raman, che non permette di ripetere l’esame nello stesso identico modo. Si apre una strada per inficiare le analisi? La risposta alla prossima puntata…”.
Ma vorrei, avendo un laboratorio di diagnosi sulle opere d’arte, esprimere una mia opinione sull’utilizzo del bianco di titanio.
Tipo: Pigmento inorganico minerale sintetico
Composizione: Biossido di titanio, solfato di calcio (gesso) e solfato di bario. Formula: TiO2 + CaSO4 + BaSO4. Coprente: 4/5.
Il bianco di titanio è un pigmento inorganico minerale sintetico. Viene ottenuto dall’ilmenite per estrazione del titanio, e dalla successiva neutralizzazione e calcinazione. È usato principalmente dal XX° secolo, e presenta un’alta stabilità a luce, temperatura (ha una resistenza termica di 200°C) e umidità. È solubile in acqua e la sua asciugatura è lenta. Una proprietà di questo pigmento da tenere a mente è la sua tendenza a indurire rapidamente e a volte a “sfarinare”, ossia una volta asciutto perdere polvere in alcune zone, nonostante sia stato diluito con l’olio. Per questo motivo è consigliato mischiarlo con il bianco di zinco, che oltretutto contrasta il naturale ingiallimento nel tempo del bianco di titanio, aiutandolo così a mantenere la tinta bianca. La maggior parte dei colori ad olio prefabbricati venduti in tubetto che portano il nome di "bianco di titanio", presentano in effetti una percentuale di bianco di zinco. Una caratteristica particolarmente positiva è che pur essendo un bianco ha un potere coprente molto alto, e rimane opaco. E’ molto colorante, ha bisogno di una medio-bassa quantità di olio per formare una pasta che si presenta fluida con qualche minuscolo granello di pigmento non disciolto. Rispetto al bianco di zinco il titanio è più colorante, e mischiato con altri colori tende a schiarirli molto e opacizzarli.
Il bianco di titanio è stato inventato da Auguste J. Rossi laureatosi all'Ecole Centrale de Paris, Rossi si trasferì in America e divenne consulente chimico della Titanium Alloy Manufacturing Company, a lui si devono moltissimi brevetti tra cui quelli sul Titanio, sul ossido di Titanio e Bianco di Titanio, i primi brevetti risalgono già al 1898, ma l’uso di bianco di titanio nei dipinti è antecedente al suo brevetto, è stato scoperto l’uso del bianco di titanio nel dipinto di John Singer Sargent - "Caffè Orientale sulla Riva degli Schiavoni" – olio su tela, 1882 . Spesso il prodotto commerciale è addizionato di solfato di calcio, e/o di solfato di bario e proviene da pigmento di origine inorganica. I suoi primi utilizzi commerciali risalgono circa al 1918.
Penso che dovrebbero essere verificate tutte le opere a partire dal 1882 e forse anni prima essendo nei laboratori degli artisti una fucina di ricerche sui pigmenti. Questo ho fatto nella nostra opera dove non solo dalle pennellate e pigmenti si ha la sua autenticità, ma da tutta la documentazione originale che è depositata nell’Archivio della Fondazione Modigliani a Parigi, che ho riprodotto in originale consegnatami dalla proprietà dell’opera.
Poi l’acquisto fatto da parte della proprietà a Parigi negli anni ’60 mi fa ricordare lo studio che ho affrontato su Durand-Ruel.
Jean Durand e Marie Ruel possedevano un negozio a Parigi dalla fine del 1700, dove venivano esposti disegni, tra cui quelli di Eugène Delacroix. Jean Durand si occupava della vendita. Il loro negozio diventò rapidamente un punto di incontro per artisti e collezionisti, trasformandosi poi in una vera e propria galleria d'arte. Fu il primo a credere nelle opere degli impressionisti che all’epoca erano screditate dall'arte accademica dai pittori che uscivano dall’Accademia.
Il Jean Durand citato è il padre di Paul Durand Ruel (Parigi, 31 ottobre 1831 – Parigi, 5 febbraio 1922) che Lorenzo Pacini scrive: «Nei primi anni Settanta dell'Ottocento, Paul Durand aveva iniziato con i pittori della cosiddetta Scuola di Barbizon, i quali rispondevano al gusto degli acquirenti del tempo, ma presto si accorse dell'eccezionalità d'alcuni giovani artisti, convinti che non si dovesse rappresentare solo la natura nella sua realtà, ma piuttosto cogliere l'attimo del particolare momento in cui questa è osservata, con tutti i cambiamenti, anche drammatici, provocati dall'atmosfera, i colori, la luce. Avevano in comune soltanto l'essere stati rifiutati dai Salon Parigini e, quindi, dai borghesi acquirenti; Durand-Ruel li trasformò in un gruppo. Tra il 1891 e il 1922, Durand comprò circa 12 mila opere di Monet, Manet, Pissarro, Degas, Renoir, Mary Cassat ecc. e per lunghi anni è stato il solo a farlo. Di lui disse Monet: «senza Durand saremmo morti di fame tutti noi impressionisti, gli dobbiamo tutto».
Nato a Parigi nel 1831, intraprese la carriera di gallerista grazie ai genitori, ereditando un negozio di antiquariato che con il tempo divenne un punto d’incontro per artisti e collezionisti. Allo scoppio della guerra franco-prussiana nel 1870, Durand-Ruel fuggì a Londra portando con sé le opere con cui diede vita a una galleria in New Bond Street. Qui entrò in contatto con il lavoro di Monet, Pissarro, Sisley, Degas, Renoir, Manet, organizzando numerose mostre nella sua galleria londinese, senza però riscontrare successo, fino a quella memorabile del 1905 alle Grafton Galleries, dove riunì un numero impressionante di opere: trecento quindici.
Ultimamente su “Elvira” è uscito un romanzo di Carlo Valentini che ho letto con attenzione. Nella nota dell’autore leggiamo: “Montmartre con i grand-cafè, la sagoma del Moulin Rouge e le coppie che si baciano in libertà accolgono Elvira, fuggita da una vita di stenti e scandalosa che le avrebbe reso impossibile rimanere a Marsiglia. Giunta a Parigi diventerà il simbolo femminile di una stagione provocatoria, creativa e pulsante: l’avanguardia. Con i suoi occhi, “di un marrone impastato col nero, brillanti, espressivi, provocanti”, riuscirà ad imbarazzare Amedeo Modigliani, italiano eccentrico e raffinato, irrequieto, squattrinato e grande seduttore. Elvira, “pronta all’avventura, assetata di conoscere, amante della vita senza pudori, gioiosa anche nell’avversità”, diventerà la sua musa, la sua modella e la compagna, condividendo il senso più profondo di un’aspirazione libertaria.”
Ma la vera storia ho dovuto affrontarla scientificamente, perché tanto si dice su Modigliani nato a Livorno dove nacque anche mia nonna materna Ada Martinelli (Livorno, 25 novembre 1884 - Alessandria (Egitto), 21 aprile 1951) nello stesso periodo di Amedeo, alla quale ho dedicato questo libro.

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